Qatar, più diritti ai lavoratori migranti: la spinta dei Mondiali di calcio del 2022

Qatar, più diritti ai lavoratori migranti: la spinta dei Mondiali di calcio del 2022
di Erminia Voccia
Martedì 30 Ottobre 2018, 20:13 - Ultimo agg. 23:09
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La nuova legge approvata dal primo ministro del Qatar potrebbe consentire il miglioramento delle condizioni di lavoro di quasi due milioni di migranti e avere effetti determinanti sulla fine della “kafala”, il sistema in base al quale il datore di lavoro di fatto deteneva lo straniero impedendogli di lasciare il Paese.

La kafala altro non è che una forma di schiavitù moderna, così l'aveva definita la Confederazione sindacale internazionale. Una vasta architettura di regole che lega il migrante al proprio datore di lavoro e che non si esaurisce nel sequestro del passaporto, come è avvenuto fino a questo momento in Qatar, ma impedisce allo straniero di cambiare impiego senza il consenso del datore di lavoro e costringe i migranti ad accettare salari molto bassi e trattamenti disumani.

La nuova norma emanata in Qatar stabilisce che soltanto nel 5% dei casi il datore di lavoro può ostacolare i viaggi del migrante per motivi inerenti a divergenze sulle prestazioni lavorative. Entro tre giorni il lavoratore potrà appellarsi al Ministero dell'Interno e chiedere che il comitato di controllo esamini la sua richiesta a partire. Quaste concessioni sono state annunciate dal Qatar una settimana prima che Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) procedesse a un'inchiesta sulle condizioni in cui versano gli stranieri impiegati nella costruzione delle infrastrutture e degli stadi necessari a disputare i Mondiali di calcio del 2022. L'Oil aveva più volte richiamato il Qatar per lo sfruttamento estremo dei lavoratori migranti assunti per la costruzione delle grandi opere utili alla competizione sportiva. I Mondiali di calcio in Qatar potrebbero quindi avere qualche effetto sulle condizioni di lavoro dei migranti, ha spiegato The Guardian.



Il sistema della kafala è diffuso negli Stati del Golfo Persico e con gli anni è passato dall'essere una forma di accordo tra governi che avrebbe protetto i lavoratori stranieri a diventare un sistema che causa la violazione dei diritti umani fondamentali. Tale sistema riguarda in particolare i migranti che provengono dal Sudest asiatico, come Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh. Il New York Times ad agosto aveva riferito di alcune delle tante storie di migranti, soprattutto donne assunte come collaboratrici domestiche, costrette a vivere in detenzione forzata dai propri datori di lavoro. Molte sarebbero state ripetutamente picchiate e forzate a lavorare per 19 ore consecutive senza possibilità di riposare. La storia che aveva suscitato maggiore sgomento a inizio anno era stata però quella del lavoratore filippino il cui cadavere era stato ritrovato in un freezer in un appartamento dismesso della famiglia che l'aveva assunto. Venendo in contro alle richieste sempre più pressanti delle organizzazioni non governative, Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno recentemente approvato delle leggi con lo scopo di ostacolare lo sfruttamento dei lavoratori. La kafala sarebbe tuttavia difficile da eliminare proprio perché si riferisce ai lavoratori domestici e quindi risulta abbastanza complesso il controllo da parte delle autorità.

Il nuovo provvedimento e la legge firmata a settembre dal primo ministro del Qatar sul diritto all'asilo è per Human Rights Watch un passo in avanti importante e insieme un esempio per gli altri Stati della regione. Tuttavia, tali misure sono per l'ong ancora troppo poco rispetto alle richieste di una maggiore libertà di movimento. La nuova legge sul diritto di espatrio non risolve il problema della kafala perché non permette ai migranti di lasciare il lavoro, ma su questo il governo del Qatar ha promesso di pronunciarsi in futuro. Il ministro del Lavoro avrebbe invece quasi promesso a un diplomatico straniero una norma sul salario minimo.
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