Karim, vive da 16 anni con un proiettile in testa

Fu colpito da una pallottola vagante a Capodanno all'età di 9 anni

Karim in una foto d'archivio
Karim in una foto d'archivio
Marilu Mustodi Marilù Musto
Mercoledì 3 Gennaio 2024, 22:55 - Ultimo agg. 5 Gennaio, 15:52
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La spada di Damocle di Karim di chiama “9 per 21”. Questo è il calibro di un proiettile che da 16 anni si trova conficcato nel suo cervelletto. Karim, ora, è un ragazzo di 25 anni: la parte sinistra del suo corpo è paralizzata, i parenti spiegano che interagisce solo in alcuni momenti. Di fatto, è una persona disabile dal 31 dicembre del 2007; da quando, nel cortile di casa a Trentola Ducenta, crollò a terra colpito dal proiettile. Il suo destino s’incrocia ora - a 16 anni di distanza - con quello della donna di 47 anni ferita a Forcella la notte di Capodanno. Lei è stata trafitta da un proiettile all’addome mentre assisteva allo spettacolo dei fuochi d’artificio dal balcone: sopravviverà, proprio come Karim. Ma con quali conseguenze? Una cosa è certa: le storie dei feriti provocati dai proiettili vaganti nell’ultimo giorno dell’anno, in Campania, non hanno mai fine.

La sera in cui fu ferito Karim, un altro colpo di pistola uccise Giuseppe Veropalumbo, trentenne di Torre Annunziata, ammazzato allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio 2008 nella sua abitazione.

La pallottola raggiunse l’appartamento al nono piano dell’edificio di via Vittorio Emanuele, dove Giuseppe stava festeggiando l’arrivo del nuovo anno. Morì in preda a dolori atroci nel vicino ospedale di Boscotrecase. Per Karim fu diverso: centrato dal colpo di pistola al centro del cranio, fu soccorso dal padre e portato all’ospedale “Santobono” di Napoli. Lì, i medici fecero una sorta di miracolo: riuscirono ad arginare l’emorragia, ma spiegarono di non poter estrarre il colpo: «È inoperabile», decretarono. Così, un pezzetto di piombo “vive” nella testa di Karim da 16 lunghi anni. Ma chi fu il colpevole? All’epoca, un appartenente delle forze dell’ordine finì al centro delle indagini della polizia di Aversa, ma l’inchiesta si arenò dopo pochi mesi fino a segnare il passo: il nome del colpevole non si seppe mai.

Il colpo sparato in aria, di ritorno, finì sulla testa di Karim: questa è l’unica circostanza sicura. Il resto della storia è angoscia, che inizia con una serie di terapie riabilitative a Parma (dove si trova un centro con tecniche avanzate). Da 16 anni, Rachida, la mamma, si è trasferita in Emilia Romagna e non vuole più saperne nulla del paese in cui è vissuta fino al compimento del nono anno del figlio. «Vogliamo solo dimenticare la nostra esperienza a Trentola Ducenta e restare nel posto in cui ci troviamo adesso», dice la sorella di Karim, Ymen, per tanto tempo rimasta nell’Agro aversano per proseguire gli studi e poi fuggita anche lei a Parma per raggiungere il padre Hammed e il resto della famiglia in Emilia. La loro seconda vita è cominciata con gli appelli - l’anno dopo il ferimento di Karim - per fermare la mano assassina di chi decide di impugnare le armi a ogni Capodanno, ma si è conclusa con la delusione di non aver mai potuto cambiare nulla. Così, la famiglia ha deciso di lasciare la Campania per sempre, nonostante il Comune di Trentola Ducenta le avesse messo a disposizione - all’epoca - un appartamento in affitto.

I genitori di Karim approdarono in Italia negli anni ‘90. Rachida, la futura mamma di Karim, fuggì dal suo paese di origine, la Tunisia, più di 30 anni fa. Il suo fidanzato, Hammed - poi diventato suo marito - vinse la lotteria e piantò radici a Trentola. Una casa, tre figli (Mohammed, Ymen e Karim) e un lavoro dignitoso era tutto ciò che aveva, Rachida. La vita, però, è rimasta sospesa come in un limbo 16 anni fa. Come le altre “vite spezzate” dei feriti di Capodanno.

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Le storie si legano ancora: la donna del quartiere Forcella di Napoli, ferita quattro giorni fa, è ancora ricoverata all’ospedale Pellegrini, versa in gravi condizioni e resta in prognosi riservata. Ma sempre a Napoli un algerino di 50 anni è stato colpito alla spalla da un proiettile mentre camminava in strada: raggiunto al polmone, è in prognosi riservata. A Caserta, dopo la storia di Karim, ci sono state altre vittime. Luigi, appena 14 anni, fu trafitto anche lui alla tempia da un proiettile a Parete.

«Le vite spezzate». Così le definì il pubblico ministero Vittoria Petrella della Procura Napoli. E alludeva alle vite di Karim e di Luigi, un bambino di 9 anni e un ragazzino di 14, sopravvissuti a proiettili vaganti sparati nell’agro aversano durante le festività natalizie. All’elenco dei feriti a causa del macabro rito di impugnare pistole, si aggiunse l’anno dopo anche Giovanna. Nessuno impara niente dal passato. Per il ferimento del quattordicenne Luigi, di Parete, un uomo di 36 anni, Vincenzo Russo, fu condannato a sei anni di carcere. Fu proprio la pm Petrella a chiedere una pena esemplare. Russo, dunque, sparò quel proiettile che colpì la fronte di Luigi, giovane promessa del calcio. Era la vigilia di Natale del 2017. E il paese festeggiò a metà. L’entusiasmo si “infranse” in mille pezzi, come la vita di quell’adolescente che per mesi è rimasta legata a un letto di ospedale, lasciando il mondo fuori. Oggi, Luigi, per quel colpo di pistola, fa fatica a parlare, è lento nelle risposte. Ma è vivo. Proprio come Karim.

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