Casteldaccia, la rabbia dei parenti degli operai: «Non avrebbero dovuto scendere nella fogna»

Le famiglie dei cinque operai uccisi dalle esalazioni: «Vogliamo giustizia». Uno dei sopravvissuti ancora gravissimo

Casteldaccia, la rabbia dei parenti degli operai: «Non avrebbero dovuto scendere nella fogna»
Casteldaccia, la rabbia dei parenti degli operai: «Non avrebbero dovuto scendere nella fogna»
di Riccardo Lo Verso
Mercoledì 8 Maggio 2024, 00:57 - Ultimo agg. 15:19
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Travolti dall’ondata di gas killer mentre tentavano di liberare la fognatura da un’ostruzione. È saltato il tappo e i cinque operai morti nella strage di Casteldaccia hanno respirato l’idrogeno solforato che non lascia scampo. Bastano pochi secondi per uccidere. Gli investigatori della squadra mobile di Palermo, coordinati dalla Procura di Termini Imerese, stanno mettendo a posto i tasselli.

LA RICOSTRUZIONE

Gli operai non dovevano trovarsi nel luogo della strage. L’Amap, la municipalizzata del Comune di Palermo che gestisce la manutenzione della rete fognaria, nel 2022 ha assegnato alla Tek Infrastrutture srl di San Cipirello un appalto da un milione di euro per i servizi di autospurgo.

Il 2 maggio serviva un intervento di “disostruzione fognaria” lungo la strada statale 113 all’altezza dell’impianto di sollevamento delle acque nere. La Tek ha chiamato in subappalto la Quadrifoglio Group di Partinico.

Gli operai il 6 maggio stavano lavorando sui tombini dopo che i residenti avevano segnalato un odore nauseabondo. I lavoratori non riuscivano a eliminare l’ostruzione dalla superficie. A questo punto, invece di fermarsi, avrebbero messo in atto una manovra imprudente, entrando nei locali dell’impianto di sollevamento. Chi ha dato il via libera? Sembrerebbe che sia stato informato il direttore dei lavori dell’Amap e responsabile della sicurezza, interrogato a lungo dai pubblici ministeri. Sta di fatto che gli operai sono entrati nel primo livello dell’impianto. Con una sonda hanno cercato di eliminare l’ostruzione.

Ed è ora che sarebbe saltato il tappo. I liquami hanno inondato la vasca, fino a quel momento asciutta, che si trova a sei metri di profondità, sprigionando il gas letale respirato dagli operai senza maschera di protezione. Giovanni D’Aleo, uno dei sopravvissuti, racconta: «Ho lavorato fino alle 10 e tutto è filato liscio. Mi ha dato il cambio mio cugino Giuseppe Miraglia (una delle vittime della strage di Casteldaccia, ndr). Poi è successo qualcosa d’imprevisto».

Il gas ha stordito gli operai che sono precipitati nella vasca. Gli altri tre compagni di lavoro hanno tentato di salvare i colleghi. Due li hanno seguiti nel tragico destino, il terzo è ricoverato in grave condizioni. L’impianto è stato sequestrato, così come la sede della Quadrifoglio Group a Partinico. Giovedì dovrebbero svolgersi le autopsie sui corpi. Presto nel fascicolo per omicidio colposo plurimo saranno iscritte più persone. Per alcune si tratterà di un atto dovuto per consentire agli indagati di partecipare agli atti irripetibili.

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LE VITTIME

Il primo a morire è stato Epifanio Alsazia, il più anziano del gruppo. Uno dei sopravvissuti, Paolo Sciortino, racconta che il settantunenne contitolare della Quadrifoglio Group, «ha detto che voleva andare lui. È stato il primo a scendere nell’impianto. Si poteva godere la pensione e invece era sempre il primo a intervenire». La vittima più giovane è il ventiseienne Giuseppe La Barbera. Era un operaio interinale dell’Amap. Un accertatore senza alcun ruolo operativo. Ha sentito un collega urlare e si è precipitato giù nella botola. Il collega Giulio D’Asta lo ricorda così: «Che felicità sui nostri volti il giorno che andammo a firmare il contratto di lavoro, e adesso cosa ne rimane? La vita è ingiusta. Non lo dimenticherò».

Il figlio di un’altra vittima, Ignazio Giordano, 57 anni ha saputo della tragedia mentre era in ospedale, a Palermo, dove lavora come infermiere: «Vogliamo giustizia, vogliamo capire da dove è arrivato questo gas che ha ucciso nostro padre. Sappiamo che è stato tra gli ultimi a scendere nel pozzetto e che aveva tentato di aiutare gli altri. È morto da eroe».

Roberto Raneri 51 anni, sposato e padre di due figli, era molto conosciuto ad Alcamo dove è stato uno dei promotori del carnevale. Amava la sua famiglia e soprattutto la figlia Chiara cantante nel coro della chiesa e laureata al Conservatorio. Giuseppe Miraglia, 47 anni, di San Cipirello, lascia la moglie e la figlia di 10 anni per cui stava organizzando la festa per la prima comunione. Ha dato il cambio al cugino,

Giovanni D’Aleo, scampato insieme a Sciortino e Giuseppe Scavuzzo, ha chiamato la moglie al telefono ed è sceso nella trappola mortale. Al Policlinico palermitano lotta per vivere Domenico Viola, 62 anni. È a lui che va il pensiero dei lavoratori che ieri si sono dati appuntamento al sit in dei sindacati davanti alla prefettura di Palermo. «Domenico ce la farà», dicono in coro.

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