Gli archeologi sulle vette della Grande Guerra. Dallo Stelvio all'Isonzo si scava sul fronte

Gli archeologi sulle vette della Grande Guerra. Dallo Stelvio all'Isonzo si scava sul fronte
di Stefano Ardito
Domenica 4 Maggio 2014, 20:57 - Ultimo agg. 30 Maggio, 15:22
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A emozionarmi, nel tunnel della Linke, stato l’odore. Il sudore, i panni bagnati, il grasso per ungere la teleferica e i fucili. In un sito dove l’uomo ha vissuto millenni fa tutto è minerale, asettico. Nei luoghi della Grande Guerra si annusano la sporcizia, la fatica, la vita». Nicola Cappellozza, nato in Veneto e residente in Trentino, è un uomo dai due mestieri. Archeologo per formazione e alpinista per passione, ha ottenuto il diploma di guida alpina. Da qualche anno, oltre ad accompagnare i clienti sulle vette, si occupa di scavi archeologici ad alta quota.



Duemila e più metri sul Pasubio, 3200 sul Corno di Cavento, nei pressi dell’Adamello. E 3562 sulla Linke, sui ghiacciai del Cevedale. Qui, la stazione intermedia di una teleferica austro-ungarica in funzione tra il 1915 e il 1918 è diventata da qualche anno un sito archeologico straordinario. «Mi sono occupato a lungo, e mi occupo ancora, di siti romani o preistorici del Trentino, come le palafitte di Ledro e Fiavé», spiega Franco Nicolis, direttore dell’Ufficio Beni Archeologici della Provincia di Trento.



«Da qualche anno, come altri colleghi di tutta Europa, ho iniziato a esplorare con metodi archeologici i luoghi della Grande Guerra. Le trincee e i cannoni sono facili da trovare, e quasi sempre già conosciuti. Le armi, gli oggetti di vita quotidiana, le foto delle persone care, la posizione di ogni oggetto rispetto agli altri, rendono la storia concreta, tangibile, umana».



IL MONTE GRAPPA

Il fronte alpino, lungo il quale il Regno d’Italia e l’Impero austro-ungarico si sono combattuti per tre anni e mezzo, si allungava dallo Stelvio fino all’Isonzo. Comprendeva vette rocciose come le Dolomiti, le Prealpi (Ortigara, Pasubio, Monte Grappa), le Alpi Carniche e Giulie. E massicci rivestiti da ghiacciai, come l’Ortles e l’Adamello. Sulle prime le postazioni e le trincee sono rimaste visibili, sono state setacciate dai “recuperanti” degli anni tra le due guerre mondiali, sono oggi visitate dagli escursionisti. Nel ghiaccio, postazioni e reperti sono rimasti nascosti per decenni. Da qualche anno, però, il ritiro dei ghiacciai le sta portando in superficie.

Il primo intervento in alta quota degli archeologi trentini, insieme ai volontari del Museo della Guerra Bianca di Pejo, è avvenuto nel 2007 sul Piz Giumella, 3593 metri, dov’era un caposaldo austriaco. Un anno dopo Nicola Cappellozza ha seguito i volontari della SAT, la Società degli Alpinisti Tridentini, nel tunnel del Corno di Cavento, scavato dagli Austriaci e passato di mano per tre volte dopo sanguinose battaglie.



LE BUFERE

E’ stato Maurizio Vicenzi, il direttore del Museo di Pejo, a segnalare agli archeologi la Linke, un cocuzzolo di 3562 metri di fronte alle vette del San Matteo, del Cevedale e del Monte Vioz. «Il ritiro del ghiacciaio ha fatto emergere strutture in legno e altro materiale. Ci abbiamo lavorato tra il 2009 e il 2013» spiega Franco Nicolis. Non è stata un’impresa facile. «Abbiamo lavorato un mese o poco più all’anno, fino a dodici ore al giorno, ma fermandoci in caso di bufera. Per scavare nel ghiaccio abbiamo usato dei diffusori di calore», racconta Cappellozza.

Dal ghiaccio sono emersi il motore della teleferica, fatto saltare prima di abbandonare la posizione. E poi armi, lettere, vestiti e soprascarpe di corda necessarie per sopravvivere al gelo dell’inverno, quando le vedette potevano restare di guardia per non più di venti minuti.



LA CARTOLINA

«Ci ha commosso una cartolina in lingua ceca, attaccata a un’asse, in cui un sergente veniva salutato dal “suo amore abbandonato”, e che abbiamo decifrato grazie a un alpinista di origine boema», continua Cappellozza. Nella prossima estate, la Linke potrà essere visitata con partenza dal vicino rifugio Vioz. In autunno i reperti saranno esposti nella mostra sulla Grande Guerra in programma al MART di Rovereto.

Saranno esposti anche le armi e gli elmetti dei militari italiani morti nel 1916 sul Corno Battisti, una cima del Pasubio, e recuperati tre anni fa dagli archeologi trentini. E i cimeli accanto ai due soldati austriaci trovati nel 2012 in un crepaccio del ghiacciaio del Presena. «Entrambi, sul cranio, avevano il foro di una pallottola. Erano tutti e due giovanissimi, sui diciott’anni», spiega Franco Nicolis. L’archeologia della guerra ispira soprattutto pietà.
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