Svezia, la casta dei "maragià": «Qui non passa lo straniero»

Svezia, la casta dei "maragià": «Qui non passa lo straniero»
di Mario Ajello e Andrea Bassi
Martedì 9 Aprile 2019, 07:47 - Ultimo agg. 13 Giugno, 11:39
5 Minuti di Lettura

dai nostri inviati
STOCCOLMA Gli immigrati sono dappertutto a Stoccolma, tranne che nel centro della città. E vengono da ogni parte del mondo. Ma scarseggiano gli indiani. Eppure, al vertice della società svedese ci sono i maragià. Certo, non hanno le lunghe vesti di seta e i turbanti dei re di quel lontano Paese esotico. Ma abiti di buon taglio sartoriale, che cadono a pennello su silhouette da gentiluomini nordici spesso di antico lignaggio.
Il Credit Suisse nel suo rapporto annuale sulla distribuzione della ricchezza nel mondo, ha scattato una perfetta fotografia della piramide economica svedese. Rilevando che l'1% più ricco di famiglie del Paese controlla il 24% della ricchezza totale della popolazione. Una situazione paragonabile a quella dell'India, dove l'1% dei più benestanti controlla il 25,7% delle fortune nazionali.

Svezia, tecniche di rimozione nel Paese insabbia-scandali

Sprechi e patti segreti: è svedese l’ospedale più caro del mondo

LA PIRAMIDE
«Qui tutto è Wallenberg», spiegano alcuni manager ancora in grisaglia, appena usciti dai loro uffici, che bevono raffinato vino bianco nei locali alla moda di fronte all'acqua di Nybrokajen. E aggiungono a proposito della famiglia storicamente più forte del Paese: «La Svezia socialdemocratica convive con un sistema castale». Sono dappertutto le tracce di questa dinastia. Il loro stemma, che non è una icona araldica, ma i tanti marchi di un capitalismo alto borghese e super ramificato, è impresso sui palazzi con le insegne della banca Seb, nello skyline della città con le antenne della Ericsson, negli ospedali come il Karlinska, nei cartelloni pubblicitari della Electrolux, sui terminali di Borsa. E via così: sulle scatole dei medicinali, nei cantieri delle costruzioni, nell'hi tech, nella meccanica e, naturalmente, nella finanza. Tuttavia, nella classifica di Forbes degli uomini più ricchi del mondo non sono presenti i Wallenberg. Come è possibile che una delle famiglie più longeve del capitalismo europeo, con alle spalle una storia lunga oltre 150 anni e introdotta in tutti i mercati, compreso quello cinese dove il loro gruppo impiega 55 mila dipendenti, non appaia nelle pagine gialle della ricchezza globale? Non si tratta solo di low profile, che pure fa parte del loro dna e del puritanesimo dei costumi locali. «I Wallenberg? Loro non posseggono, ma controllano tutto attraverso una rete di partecipazioni incrociate» spiega Dan Lucas, caporedattore economico del Dagens Niether, il principale quotidiano svedese. E Jacob Wallenberg, che insieme al cugino Marcus controlla l'impero che solo per le società quotate vale 42 miliardi di dollari, ha come motto: «Non possiamo sperperare il nostro patrimonio, perché in realtà non ne siamo proprietari. Questo tuttavia non ci impedisce di distruggerlo».

LA DINASTIA
Ma se questa dinastia di maragià, che è arrivata a produrre il 40 per cento del pil svedese con le sue attività, non viene rilevata nelle graduatorie, c'è invece qualche decina di super ricchi che vi compare. Nella tabella di Forbes, Stefan Persson, patron della multinazionale del casual H&M, occupa il 43esimo posto con un patrimonio di 43 miliardi di dollari. La famiglia Rausing, quelli che hanno inventato il Tetra pack, detiene cinque delle prime sette posizioni dei Paperoni svedesi (Ikea ha solo tre posizioni, e molto più in basso). Tra i vari membri della famiglia il patrimonio complessivo accumulato supera i 37 miliardi di dollari. «Il vero competitor dei Wallenberg, ma in certi casi anche loro socio, è Fredrik Lundberg» raccontano ancora nella redazione economica del più venduto quotidiano di Stoccolma: «Il suo gruppo bancario, Handelsbanken, è quello che gareggia con Investor, cassaforte e scrigno di tutti gli interessi dei Wallenberg».
Lo strano intreccio di socialdemocrazia e capitalismo di origine protestante arriva anche nelle alte vette del mondo maragià alla svedese. Due importanti fondi pensione, Amf, controllato dai sindacati insieme all'associazione degli imprenditori, e Alecta, la compagnia assicurativa legata, ancora una volta, al mondo sindacale e a quello delle aziende, partecipano in Investor. Amf con il 4,3% del capitale e Alecta con il 6,3%. Ma quel che conta davvero, e che Amf ha l'8% dei diritti di voto e la sorella, Alecta, ha il 3%. Ovviamente i Wallenberg con le loro fondazioni, pur detenendo solo il 20% delle azioni, controllano l'assemblea Investor con il 43% dei diritti di voto. Il motore della Svezia, insomma, è un ibrido in cui la presenza sindacale (l'attuale premier socialdemocratico Lofven, e gran parte del ceto politico dirigente deriva dalle organizzazioni dei lavoratori) è parte integrante del meccanismo. Come dimostra plasticamente la vicenda di Swedbank, di cui Alecta e Amf sono due azionisti rilevanti e che hanno difeso fino all'ultimo i vertici dell'istituto, imbambolati di fronte allo tsunami.

CIRCOLO CHIUSO
Il sistema decisionale svedese in tutti gli ambiti, anche in quelli locali delle Contee, che nella struttura istituzionale del Paese contano assai, vede la compartecipazione di politica, sindacato e aziende pubbliche. Le lobby esistono anche a Stoccolma. E il mercato è sovente chiuso in faccia agli stranieri. Ne sanno qualcosa Amazon e e-Bay, i supercolossi planetari che in Svezia non hanno accesso (impazza invece, nonostante chiusure, riaperture e arresti, Pirate Bay, il più grande dominio della pirateria bestia nera globale del copyright). E la mela di Apple, che contraddistingue con i suoi store il panorama urbano di tante capitali dell'Occidente, non si vede passeggiando nelle vie commerciali e anche chic di Drotninggattan, Kungstradgarden o in Stureplan quello che è un po' il village. E anche la presenza dei marchi italiani è ormai sempre più relegata nel settore del food. Sarà un caso, ma è anche un dato, che la locale Camera di commercio, scelta da moltissime multinazionali come luogo principe per gli arbitrati, quando si tratta di esaminare le cause che contrappongono imprese locali con aziende straniere, le prime vincono nove volte su dieci. Eppure questa è anche la Camera arbitrale tra le più gettonate d'Europa. Quella che decise per esempio la complicatissima disputa tra Russia e Ucraina sul passaggio del gas. Anche i cinesi vengono a Stoccolma per dirimere i conflitti commerciali con gli altri Stati. E questa istituzione e lo specchio della filosofia nazionale negli affari: estremo professionismo quando non ci sono interessi locali in gioco, ed estremo campanilismo, appena scendono in campo i campioni svedesi.
(3-continua)
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA