La Corte d'Assise d'appello di Milano ha confermato la condanna all'ergastolo e ad un anno e mezzo di isolamento diurno per Alessandro Maja, il 60enne interior designer che, nella notte tra il 3 e il 4 maggio 2022, uccise nella casa di famiglia a Samarate (Varese) la figlia Giulia di 16 anni e la moglie Stefania Pivetta, di 56, a colpi di martello mentre stavano dormendo. Subito dopo l'uomo tentò di ammazzare anche il figlio maggiore Nicolò, 23 anni, rimasto gravemente invalido e oggi assente al processo perché ricoverato in ospedale per un nuovo intervento chirurgico programmato.
Alessandro Maja, la reazione dopo la sentenza
Nessuna apparente reazione alla lettura del verdetto da parte dell'imputato, assente il figlio 23enne - in ospedale per un altro intervento chirurgico - mentre il nonno materno Giulio accoglie con commozione il verdetto le cui motivazioni saranno rese note tra 15 giorni.
Caduta la richiesta di perizia psichiatrica
Per la procuratrice che poco peso dà alla confessione fatta dall'imprenditore «in una situazione con prove schiaccianti» - è corretto contestare l'aggravante di aver agito contro i figli, così come è giusto non aderire alla richiesta di perizia psichiatrica della difesa. «La situazione del condannato è stata inquadrata dal perito come di un disturbo dell'adattamento in un soggetto con profili narcisistici, ritengo che questa conclusione sia corretta» chiosa la pg Nanni. Una posizione condivisa dalla parte civile, rappresentata dall'avvocato Stefano Bettinelli, che in aula parla di un uomo che agisce con «assoluta lucidità» e che compie un'azione «al limite dell'umanità» dove il figlio «si è salvato solo per fortuna». Cade così nel vuoto la richiesta di perizia psichiatrica chiesta dal difensore Gino Colombo per una tragedia familiare compiuta da un uomo «non privo di sentimenti. Non aveva problemi lavorativi, ma era in un delirio di rovina, quei problemi non esistevano nella realtà».
Alessandro Maja: «Ho cancellato la mia famiglia per un soffrire emotivo»
Un presunto disturbo che il legale ha provato a dimostrare con documenti e testimonianze rese nell'inchiesta, ma che i giudici non hanno accolto. E a poche sono servite anche le dichiarazioni spontanee, durate un minuto scarso, rese dall'imputato in apertura d'udienza: «Ho cancellato la mia famiglia per un soffrire emotivo, restando solo. Mi aspetto la pena più alta sperando nella clemenza, confido nel perdono di Gesù determinato dal mio pentimento».