Magazzini semivuoti, consegne a rilento, difficoltà di approvvigionamento da parte delle grandi multinazionali che dipendono in larga parte dalla manifattura locale. Ad agosto in diverse zone del Vietnam sono state rafforzate le restrizioni per contenere la diffusione dei contagi da coronavirus, a causa della massiccia circolazione della variante Delta. Oltre a riguardare la vita di decine di milioni di persone, le rigide misure di sicurezza in vigore nel Paese stanno avendo pesanti ripercussioni – anche in Europa – sull’esportazione di abbigliamento, calzature e nel commercio del caffè. I grandi marchi del tessile hanno importanti stabilimenti in Vietnam, la conseguenza potrebbe essere un aumento dei prezzi a carico dei consumatori.
PRODUZIONE OCCIDENTALE
“Business insider” segnala che Nike, Gap, Urban Outfitters e altri rivenditori stanno avvisando che i blocchi in Vietnam provocano il caos nelle catene di approvvigionamento. Il Paese è uno dei principali produttori per molti marchi di abbigliamento americani e, mentre il virus continua a diffondersi, le aziende hanno difficoltà a rifornire il magazzino scorte per stare al passo con la domanda crescente ora che gli Usa sono usciti dal lockdown. «Direi che la nostra più grande preoccupazione in questo momento è avere il catalogo dei capi a disposizione», ha detto Richard Hayne, ceo di Urban Outfitters in una conference call sugli utili svoltasi martedì scorso. «Non sappiamo quando arriverà, o quanto costerà.
POCHI VACCINATI
Nel Paese del sud-est asiatico mancano i vaccini e la mutazione Delta si insinua con maggiore facilità. Il 30 agosto i nuovi casi sono stati 14.219, il secondo aumento giornaliero più alto dall’inizio della pandemia. Il numero totale di contagi in Vietnam è salito a 445.292, rispetto a meno di 1.500 infezioni durante tutto il 2020. Nonostante sia stato autorizzato l’utilizzo di sei vaccini contro il coronavirus – quelli di AstraZeneca, Sinopharm, Pfizer–BioNTech, Moderna e Johnson & Johnson, oltre allo Sputnik V – soltanto il 2,6% della popolazione, pari a circa 2,5 milioni di persone, ha completato il ciclo di profilassi. Le restrizioni sono state introdotte a Ho Chi Minh City, cuore dell’epidemia, a giugno e sono state ulteriormente inasprite ad agosto. Gli esportatori hanno riferito a Bloomberg che trasportare le merci è un’impresa, considerati i blocchi agli spostamenti imposti dal lockdown, e che il problema è aggravato dai costi vertiginosi.
STABILIMENTI CHIUSI
Secondo quanto riportato da “Loadstar”, l’associazione Vietnam Textile & Apparel avrebbe riferito della chiusura di circa il 30%-50% degli stabilimenti tessili, cosa che ha spinto i clienti a rivolgersi a concorrenti di altri Stati. Proprio lo stesso fenomeno che si è verificato, a vantaggio delle fabbriche vietnamite, l’anno scorso con la chiusura di molte attività in Cina nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria. Altre aziende del Vietnam avrebbero rallentato le attività per la mancanza di forniture causata dalla congestione portuale e dai ritardi nei controlli doganali. Un operatore logistico ha raccontato alla testata britannica delle complicazioni burocratiche e della mancanza di un approccio coordinato da parte delle autorità vietnamite nella gestione del lockdown, con la necessità di dover presentare la richiesta di autorizzazione al transito per gli autotrasportatori a diversi ministeri. Il focolaio di variante Delta ha ridotto in miseria milioni di persone ora in isolamento e ha interrotto le catene di approvvigionamento nel Paese, che è anche secondo produttore ed esportatore mondiale di caffè dopo il Brasile. Più del 20% del caffè importato nell’Unione europea nel 2019 veniva proprio dal Vietnam. Adesso il rigido lockdown in vigore sia a Ho Chi Minh, città più popolosa con 13 milioni di abitanti e sede del principale porto commerciale del Paese, sia in varie zone delle pianure centrali – soprannominate «il regno del caffè» per i loro circa 570 mila ettari di coltivazioni – sta mettendo in gravi difficoltà un intero settore.